Evento "Fitness che Dura" per restare in forma dopo i 50 anni
Una dieta sana è uno dei pilastri fondamentali per ottimizzare la salute durante tutte le fasi della menopausa. I suoi benefici sono numerosi: riduce il rischio di malattie cardiovascolari (la prima causa di morte nelle donne), abbassa la probabilità di sviluppare il diabete di tipo 2, previene stitichezza ed emorroidi, diminuisce il rischio di cancro al colon e può persino contribuire alla prevenzione dell’Alzheimer — solo per citarne alcuni.
Ma c’è un altro motivo per cui molte donne in menopausa iniziano a rivedere la propria alimentazione: l’aumento di peso. Anche senza cambiare stile di vita, può diventare più difficile mantenere il peso stabile. Il corpo cambia, e con esso anche la distribuzione del grasso, spesso più concentrata nella zona addominale.
Questi cambiamenti non dipendono solo dall’età o da “mancanza di forza di volontà”: sono legati a una combinazione di fattori ormonali, metabolici e psicologici che rendono la gestione del peso più complessa rispetto al passato.
Per affrontare il tema del dimagrimento in menopausa in modo efficace e rispettoso, dobbiamo prima capire come funziona il nostro metabolismo, come interagiscono gli ormoni, e quali sono i nutrienti di cui il corpo ha davvero bisogno in questa fase della vita.
I macronutrienti sono carboidrati, grassi, e proteine. Sono chiamati così perché il nostro corpo ne ha bisogno in grandi quantità, ed essi forniscono energia e permettono alle funzioni vitali di svolgersi correttamente.
I micronutrienti, invece, comprendono vitamine e minerali: elementi essenziali, ma richiesti in quantità molto più ridotte. Alcuni esempi: ferro, iodio, acido folico, zinco e le vitamine A e C.
I carboidrati sono formati da catene di zuccheri e si dividono in due gruppi: semplici e complessi.
I carboidrati semplici contengono una o due molecole di zucchero e vengono digeriti rapidamente causando un aumento rapido della glicemia.. Si trovano naturalmente in alimenti come frutta (fruttosio), verdura (in quantità minori), e latticini (lattosio). Sono presenti anche in forme raffinate, come lo zucchero da tavola (saccarosio) e lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, che hanno un impatto metabolico più sfavorevole.
I carboidrati complessi sono costituiti da catene più lunghe di zuccheri. Comprendono amidi presenti in cereali (soprattutto integrali), legumi, tuberi come le patate e fibre, che non vengono digerite ma svolgono un ruolo essenziale nella salute intestinale, nella regolazione della glicemia e nel senso di sazietà.
Quando un cereale viene raffinato (es. farina bianca, riso bianco), le parti più nutrienti – germe e crusca – vengono rimosse, cioè le parti più ricche di fibre, vitamine e minerali. Il risultato è un carboidrato semplice che entra rapidamente nel flusso sanguigno sotto forma di glucosio. Al contrario, i carboidrati complessi (come riso integrale o avena) rilasciano glucosio in modo più lento e graduale, aiutando a stabilizzare la glicemia.
Una dieta ricca di carboidrati raffinati (come zuccheri semplici e cereali non integrali) è associata a un aumento del rischio di diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e a una riduzione dei livelli di SHBG (Sex Hormone Binding Globulin).
La SHBG è una proteina che lega gli ormoni sessuali come estrogeni e testosterone, controllandone la quantità attiva nel sangue.
Quando la SHBG diminuisce, aumentano le forme libere (non legate) di estrogeni e testosterone, con possibili effetti sul metabolismo, l’umore, la pelle e la salute ormonale generale.
Attenzione alle diete low-carb: la perdita di peso iniziale spesso è legata alla riduzione delle riserve di glicogeno e acqua, non di massa grassa. Per capire meglio:
Il glicogeno trattiene acqua – Ogni grammo di glicogeno immagazzinato nei muscoli o nel fegato è legato a circa 3-4 grammi di acqua
Nelle diete low-carb, la riduzione dei carboidrati porta al consumo delle riserve di glicogeno, alla perdita d'acqua e al peso sulla bilancia che scende. Ma non è grasso perso, è una perdita transitoria.
Un po’ come strizzare una spugna: si alleggerisce subito, ma si reidrata facilmente.
La fibra è uno tipo di carboidrato su cui vorrei soffermarmi perché è uno degli elementi più efficaci per migliorare la salute senza dover rinunciare a nulla: si aggiunge alla dieta, non si toglie.
Esistono due tipi di fibra:
Solubile, che si scioglie in acqua e rallenta la digestione.
Insolubile, che resta intatta e aumenta il volume delle feci.
Entrambi i tipi sono utili e spesso si trovano insieme negli stessi alimenti: cereali integrali, legumi, frutta e verdura.
Le donne dovrebbero consumare almeno 25 grammi di fibra al giorno. La fibra:
Aumenta il senso di sazietà.
Riduce la stitichezza e il rischio di emorroidi.
Stabilizza la glicemia rallentando l’assorbimento degli zuccheri.
Abbassa i livelli di colesterolo totale e LDL (“cattivo”), con effetti ancora più evidenti dopo la menopausa.
Un altro effetto interessante riguarda gli estrogeni. La bile, che aiuta a digerire i grassi, contiene anche estrogeni: la fibra ne riduce il riassorbimento intestinale, contribuendo a regolare i livelli ormonali. Questo effetto si riduce dopo la menopausa, quando gli estrogeni in circolo sono naturalmente più bassi.
Inoltre, la fibra solubile e prebiotica (come l’inulina, presente in cipolla, aglio, porri, avena, topinambur) nutre il microbiota intestinale, riduce l’infiammazione e contribuisce a un ambiente intestinale sano.
I grassi alimentari si dividono in due categorie principali:
Grassi saturi, presenti soprattutto nei prodotti animali come carne rossa, burro, formaggi. Sono solidi a temperatura ambiente e andrebbero consumati con moderazione.
Grassi insaturi, presenti in oli vegetali, pesce, frutta secca e semi. Si suddividono in:
Monoinsaturi (olio d’oliva, avocado, noci).
Polinsaturi, che includono gli acidi grassi omega-3 e omega-6.
Grassi trans, presenti in alcuni oli idrogenati e prodotti industriali. Questi andrebbero evitati il più possibile.
I grassi sono essenziali per l’assorbimento delle vitamine liposolubili (A, D, E, K), sono componenti strutturali delle cellule e forniscono energia. Dopo un pasto, i grassi vengono trasformati in colesterolo e trigliceridi. Il corpo può anche convertirli in glucosio tramite un processo chiamato chetogenesi.
Le diete povere di grassi non hanno dimostrato particolari benefici per la salute. Tuttavia, è importante distinguere i vari tipi di grassi: un consumo elevato di grassi saturi è associato a un aumento del rischio cardiovascolare e dei livelli di colesterolo LDL, mentre i grassi insaturi hanno effetti protettivi.
Gli omega-3 meritano una menzione speciale. Si trovano in:
Pesce grasso (salmone, sgombro, sardine): EPA e DHA.
Semi di lino, noci, soia: ALA (va macinato per essere assorbito).
Il nostro corpo converte ALA in EPA e DHA solo in piccole quantità, quindi è importante assumerli direttamente dalla dieta. Gli omega-3 aiutano a ridurre i trigliceridi, abbassare la pressione sanguigna e l’infiammazione, e sono spesso raccomandati anche come integratori dopo la menopausa.
Anche gli omega-6 (come l’acido linoleico, presente negli oli vegetali) sono benefici e non vanno demonizzati. L’equilibrio tra i due è importante, ma aumentare gli omega-3 non deve significare eliminare gli omega-6.
Le proteine sono macronutrienti essenziali formati da catene di amminoacidi. Il nostro corpo utilizza questi amminoacidi per costruire e riparare i tessuti, produrre enzimi, ormoni e altre molecole fondamentali.
A differenza dei carboidrati e dei grassi, le proteine non vengono usate principalmente come fonte di energia, ma svolgono ruoli strutturali e funzionali vitali.
Le proteine possono essere animali o vegetali:
Fonti animali: carne, pesce, uova, latticini. Queste proteine sono “complete”, ovvero contengono tutti gli amminoacidi essenziali.
Fonti vegetali: legumi, tofu, tempeh, seitan, quinoa, frutta secca, semi, cereali integrali. Alcune sono incomplete, ma combinando più fonti vegetali si può raggiungere un profilo amminoacidico completo.
Durante e dopo la menopausa, i cambiamenti ormonali (in particolare la riduzione degli estrogeni) sono associati a una perdita progressiva della massa muscolare (sarcopenia) e della densità ossea. Questo può tradursi in una riduzione della forza, mobilità compromessa, maggiore rischio di cadute e fratture. Una dieta ricca di proteine, associata ad attività fisica, può aiutare a rallentare questi processi.
Inoltre, le proteine:
Aumentano la sazietà più di carboidrati e grassi, aiutando a controllare l’appetito.
Proteggono la massa muscolare durante una dieta dimagrante, quando il rischio di perdere anche tessuto muscolare è elevato.
Possono contribuire a mantenere un metabolismo attivo, poiché la massa muscolare è metabolicamente più “costosa” rispetto al tessuto adiposo.
Hanno un effetto termogenico superiore agli altri macronutrienti, cioè il corpo consuma più energia per digerire e metabolizzare.
Una maggiore assunzione proteica può essere utile anche per controllare la glicemia, perché rallenta l’assorbimento dei carboidrati e modula la risposta insulinica. Tuttavia, diete eccessivamente proteiche, soprattutto se basate su fonti animali ad alto contenuto di grassi saturi, possono aumentare il rischio cardiovascolare: come sempre, la qualità conta.
Per anni si è pensato che un consumo moderato di alcol — come un bicchiere di vino al giorno — potesse avere effetti protettivi sul cuore. Tuttavia, studi recenti hanno smentito questa idea: quando si tengono in considerazione fattori come stile di vita, livello socioeconomico e predisposizione genetica, i presunti benefici cardiovascolari spariscono. Anche la World Heart Federation ha dichiarato che nessuna quantità di alcol è considerata benefica per la salute del cuore.
L’alcol può influenzare diversi sistemi del corpo, soprattutto per le donne in menopausa: peggiora la qualità del sonno, intensifica le vampate, riduce la libido, altera l’umore e può danneggiare cervello, fegato, ossa e stomaco. È classificato come sostanza cancerogena e aumenta il rischio di diversi tumori, tra cui quelli al seno, al fegato e all’esofago.
Nel caso specifico del tumore al seno, il rischio aumenta per più ragioni: l’alcol interferisce con il metabolismo degli estrogeni (facendone salire i livelli), riduce la produzione della SHBG (la proteina che lega gli ormoni sessuali) e può favorire l’accumulo di grasso corporeo, un ulteriore fattore di rischio.
Durante la menopausa, quando gli ormoni sono in fluttuazione e la salute cardiovascolare e ossea è più fragile, l’alcol può amplificare questi effetti negativi. Se si sceglie di bere, è consigliabile non superare i 10–15 g di alcol al giorno (circa un bicchiere di vino) e preferire il consumo occasionale piuttosto che quotidiano. Ti faccio qualche esempio pratico:
Un bicchiere di vino da 125 ml (12% vol) contiene circa 12–13 grammi di alcol puro.
Una birra da 330 ml (5% vol) ha circa 13 grammi di alcol puro.
Un bicchierino di superalcolico da 40 ml (40% vol) ha circa 12 grammi di alcol puro.
Un alimento è considerato naturale quando è nella sua forma originale o subisce trasformazioni minime: una banana, dei ceci, del pollo o del miele. Appena modifichiamo un alimento per migliorarne la sicurezza alimentare, ridurne la contaminazione o prolungarne la conservazione (ad esempio: lo congeliamo, pastorizziamo, maciniamo, aggiungiamo sale, etc.) stiamo parlando di cibo processato.
I cibi processati non sono necessariamente un problema: infatti farina, tofu, formaggio, pane integrale, o una lattina di fagioli sono tutti esempi di alimenti processati.
Il problema principale riguarda i cibi ultra-processati: prodotti industriali con ingredienti artificiali o tecniche non riproducibili in casa, spesso con molti ingredienti e additivi. Questi alimenti sono generalmente:
Densi di calorie ma poveri di nutrienti
Bassi in fibra e proteine
Facili da consumare in eccesso
Progettati per essere iper-palatabili, grazie al mix perfetto di zucchero, sale e grassi
Queste caratteristiche alterano la regolazione naturale dell'appetito e rendono più facile mangiare oltre il fabbisogno energetico. In uno studio controllato pubblicato nel Cell Metabolism, le persone che seguivano una dieta composta esclusivamente da cibi ultra-processati mangiavano in media 508 calorie in più al giorno, senza rendersene conto. Al contrario, quando seguivano una dieta composta solo da cibi non processati, perdevano peso e grasso corporeo, anche in un periodo di tempo molto breve.
Nel tempo, la diffusione dei cibi ultra-processati ha progressivamente sostituito alimenti più nutrienti, contribuendo all’aumento di condizioni come obesità addominale, sindrome metabolica, ipertensione, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari.
Queste patologie sono particolarmente rilevanti durante la menopausa e nel post-menopausa, quando il metabolismo tende a rallentare, la distribuzione del grasso corporeo cambia (con maggiore accumulo viscerale) e la sensibilità all’insulina può ridursi. In più, il calo degli estrogeni amplifica il rischio cardiovascolare e infiammatorio.
Per questo motivo, ridurre il consumo di alimenti ultra-processati — dopo aver aumentato l’apporto di fibra — rappresenta uno dei passi più efficaci e sostenibili per preservare la salute metabolica, regolare l’appetito e mantenere un peso stabile in questa fase della vita.
Ancora prima di tuffarti nel mare delle diete, inizia a dire addio ai cibi ultra-processati e guarda come cambia il tuo corpo!
Il metabolismo è l’insieme dei processi chimici che avvengono nel nostro corpo per trasformare il cibo in energia. Ogni volta che respiriamo, digeriamo, ci muoviamo o anche solo manteniamo la temperatura corporea, il metabolismo è al lavoro.
Spesso si usa la parola “metabolismo” per parlare di quanto velocemente bruciamo calorie, ma in realtà è molto di più: comprende anche come il corpo immagazzina, utilizza e regola nutrienti come carboidrati, grassi e proteine.
Il metabolismo è influenzato da molti fattori: genetica, età, massa muscolare, livello di attività fisica e, soprattutto durante la menopausa, cambiamenti ormonali. È proprio in questa fase che molte donne iniziano a notare un rallentamento metabolico, con tendenza ad aumentare di peso anche senza cambiare abitudini.
Uno studio pubblicato su Science (“Daily Energy Expenditure through the Human Life Course”) ha dimostrato che il nostro dispendio energetico giornaliero dipende principalmente dalla massa magra: muscoli e organi interni. Più massa magra abbiamo, più calorie bruciamo, anche a riposo.
Con l’età, però, la massa muscolare tende a diminuire e anche gli organi interni diventano meno “attivi” metabolicamente. Questo porta a una riduzione graduale del metabolismo basale — che può arrivare fino al 26% dopo i 60 anni.
Ma il rallentamento non inizia tutto d’un colpo: la menopausa anticipa e accelera questo declino, sia per via della perdita di massa magra sia per l’effetto degli ormoni sessuali.
Il metabolismo cambia nel corso della vita, ma durante la menopausa questi cambiamenti si accelerano e diventano più evidenti. Capire cosa succede al nostro corpo in questa fase è il primo passo per affrontarla in modo consapevole.
Durante la perimenopausa, i livelli di estrogeni e progesterone iniziano a oscillare e poi calano gradualmente. Questo squilibrio ormonale porta a:
Una redistribuzione del grasso corporeo, con accumulo più marcato nella zona addominale (grasso viscerale)
Una diminuzione della massa muscolare
Un rallentamento del metabolismo
Una maggiore difficoltà nell’utilizzare i grassi come fonte di energia
Uno studio condotto su 72 donne tra i 35 e i 60 anni ha confermato che proprio in perimenopausa avvengono i cambiamenti più significativi nella composizione corporea. Le donne in questa fase mostrano maggiore resistenza all’insulina e minore flessibilità metabolica durante l’attività fisica — ovvero il corpo fa più fatica a “bruciare” grassi.
Un esempio concreto riguarda l’effetto del progesterone sulla temperatura corporea e sul dispendio energetico. Durante la fase luteale del ciclo mestruale (cioè dopo l’ovulazione), il progesterone aumenta la temperatura basale di circa 0,3–0,6 °C. Questo piccolo aumento termico comporta un incremento del metabolismo pari a circa 50 kcal al giorno.
Tradotto su scala annuale, significa che una donna in età fertile può bruciare fino a 8.400 kcal in più all’anno, semplicemente grazie all’attività ormonale ciclica. È l’equivalente di circa 1,2 kg di grasso corporeo in meno (considerando che 1 kg di grasso corrisponde a circa 7.000 kcal).
Con l’arrivo della perimenopausa, però, la fase luteale si accorcia o scompare del tutto: la produzione di progesterone diminuisce e con essa viene meno anche questo piccolo ma costante “bonus metabolico”. Il risultato? Una tendenza graduale all’aumento della massa grassa, anche a parità di alimentazione e attività fisica.
In postmenopausa, i livelli di estrogeni si stabilizzano su valori molto bassi. Questo contribuisce ulteriormente alla perdita di massa muscolare e a un ulteriore accumulo di grasso. piccoli eccessi calorici portano a un rapido aumento di peso.
Inoltre, cresce il rischio grasso viscerale. Il metabolismo basale continua a diminuire, e molte donne notano che anche resistenza insulinica, che rende più difficile controllare i livelli di zucchero nel sangue e favorisce l’accumulo di grasso addominale.
Ogni volta che mangiamo, soprattutto alimenti ricchi di carboidrati (come pane, pasta, frutta o dolci), il nostro corpo li trasforma in glucosio, uno zucchero che entra nel sangue per fornire energia alle cellule.
Tuttavia, il glucosio non può entrare nelle cellule da solo. Per farlo ha bisogno dell’insulina, un ormone prodotto dal pancreas che agisce come una “chiave”, aprendo la porta che consente al glucosio di essere assorbito e utilizzato come energia.
La resistenza insulinica si verifica quando le cellule diventano meno sensibili a questa chiave. Il risultato? Il glucosio resta più a lungo nel sangue, e il pancreas è costretto a produrre quantità sempre maggiori di insulina per cercare di compensare. Questo meccanismo, nel tempo, può affaticare il pancreas e favorire l’insorgenza del diabete di tipo 2.
Ma c’è di più: l’insulina è anche un ormone anabolico, ovvero promuove l’accumulo di grasso. Quando è presente in eccesso nel sangue:
Favorisce la conversione del glucosio in grasso
Blocca la lipolisi, cioè l’utilizzo dei grassi come fonte di energia.
Molte donne in menopausa riportano di sentirsi più affamate del solito, di avere più voglia di zuccheri o di non sentirsi mai davvero sazie dopo i pasti. E non è solo una sensazione: è un effetto concreto dei cambiamenti ormonali che avvengono in questa fase della vita.
Quando i livelli di glicemia e insulina restano elevati per lunghi periodi — come accade in caso di resistenza insulinica — i normali segnali che regolano fame e sazietà si alterano. Questo può portare a:
Maggiore desiderio di cibi zuccherati o calorici
Senso di sazietà ritardato o ridotto
Più episodi di fame improvvisa, anche poco dopo aver mangiato
Oltre a insulina e glicemia, anche altri ormoni regolano l’appetito — e sono profondamente influenzati dalla riduzione degli estrogeni tipica della menopausa:
Estrogeni: aiutano a modulare l’appetito e il dispendio energetico. Quando calano, si tende a mangiare di più e a muoversi di meno.
Leptina: è l’ormone della sazietà. In condizioni normali, segnala al cervello che abbiamo mangiato a sufficienza. Ma con il calo degli estrogeni può insorgere resistenza alla leptina, rendendo i suoi segnali meno efficaci.
Grelina: è l’ormone della fame, prodotto dallo stomaco. I livelli di grelina tendono ad aumentare quando gli estrogeni diminuiscono, intensificando il senso di fame. Curiosamente, è anche associata a una maggiore frequenza di vampate di calore.
Neuropeptide Y (NPY): è uno stimolatore dell’appetito. La sua attività sembra aumentare con il calo degli estrogeni, contribuendo a un maggiore impulso alimentare.
I cambiamenti ormonali della menopausa alterano l’equilibrio tra fame e sazietà, rendendo più difficile controllare l’appetito e mantenere abitudini alimentari stabili. Non è una questione di “forza di volontà”: è una risposta fisiologica a cui è utile rispondere con strategie mirate — come aumentare l’apporto di fibre e proteine, fare esercizio regolare e dormire meglio.
Dimagrire è (relativamente) semplice: basta seguire una dieta ipocalorica abbastanza a lungo.
Dimagrire in modo sano, sostenibile, mantenendo i risultati nel tempo, e senza compromettere il benessere mentale è tutta un’altra storia — soprattutto in menopausa, quando ormoni e metabolismo cambiano. La perimenopausa è una fase chiave: adottare le giuste strategie tra i 40-50 anni può aiutare a mantenere la massa muscolare, attivare il metabolismo e ridurre i rischi per la salute nel lungo termine.
Quando pensiamo alla parola “dieta”, spesso la associamo a un piano alimentare temporaneo con un solo obiettivo: perdere peso. Ed è proprio questo approccio che spiega perché la maggior parte delle diete fallisce. Non perché le persone siano pigre o manchino di forza di volontà, ma perché:
Le diete vengono vissute come una forma di sacrificio temporaneo, non come un cambiamento sostenibile;
Si focalizzano quasi sempre su un obiettivo estetico, anziché sulla salute, la forza, la longevità e il benessere generale.
Paradossalmente, quando perseguiamo altri obiettivi a lungo termine — come imparare a suonare uno strumento — nessuno ci suggerirebbe di farlo in modo intenso per poche settimane per poi smettere del tutto.
Eppure è così che molte persone ancora affrontano la perdita di peso: con strategie drastiche, poco sostenibili, destinate a fallire nel tempo.
Le diete estreme e molto restrittive non sono solo difficili da mantenere: possono essere dannose. Le persone che seguono regimi alimentari molto rigidi o che oscillano tra cicli di dieta ipo-calorica e iper-calorica sono più a rischio di sviluppare disturbi del comportamento alimentare, depressione e ansia.
Inoltre, chi affronta la perdita di peso con strategie drastiche tende più facilmente a recuperare il peso perso nel medio-lungo termine, spesso con un ulteriore aumento di massa grassa rispetto alla situazione di partenza. Questo fenomeno è noto come "effetto yo-yo" e può influire negativamente sul metabolismo, sugli ormoni e sull’equilibrio emotivo.
Un altro rischio sottovalutato è la perdita di peso troppo rapida. Quando si dimagrisce velocemente, il corpo tende a perdere massa muscolare insieme al grasso corporeo. Questo è particolarmente problematico in menopausa, quando la massa magra è già in declino naturale e fondamentale per sostenere il metabolismo.
Una perdita di peso troppo accelerata può anche:
Ridurre il metabolismo basale
Aumentare la fame e la perdita di energia
Alterare i livelli ormonali (inclusi estrogeni, leptina, insulina)
Indurre carenze nutrizionali
In sintesi, dimagrire troppo in fretta può sabotare gli stessi obiettivi che ci si era posti, rallentando il metabolismo e aumentando il rischio di recuperare peso più facilmente in futuro.
L’aumento di peso non è segno di pigrizia o mancanza di disciplina. In realtà, il comportamento alimentare è influenzato da un mix complesso di fattori genetici, ambientali, sociali, psicologici ed economici:
Sedentarietà diffusa: sia nel lavoro che nel tempo libero, il movimento è drasticamente ridotto rispetto al passato.
Accesso immediato a cibo altamente calorico e iper-palatabile: fast food, delivery, snack, barrette... Tutto è disponibile in pochi minuti.
Cibo progettato per essere irresistibile: i produttori alimentari investono enormi risorse per creare prodotti che stimolino il consumo ripetuto. Non è una mancanza di autocontrollo: è il design del prodotto.
Genetica e biologia individuale: la predisposizione al sovrappeso ha una componente ereditaria importante, che influenza l’appetito, la distribuzione del grasso e la risposta agli stimoli alimentari.
Fattori economici: spesso i cibi sani costano di più. Mangiare non-processato o biologico può essere un privilegio, non una scelta. In molte aree, l’accesso a cibi freschi è limitato, mentre gli alimenti ultra-processati sono economici, accessibili e pronti da consumare.
Fattori psicologici: lo stress cronico, la depressione o i disturbi del sonno aumentano la propensione a ricorrere al “comfort food”, spesso ricco di zuccheri e grassi.
Età e salute ormonale: con la menopausa, il metabolismo rallenta, la massa muscolare si riduce e gli ormoni influiscono sulla distribuzione del grasso. Patologie come PCOS, ipotiroidismo o sindrome di Cushing possono rendere la perdita di peso ancora più difficile.
Questi sono solo alcuni dei fattori che influenzano le nostre scelte alimentari, e nessuno di essi ha a che fare con “mancanza di volontà”.
Viviamo in un ambiente in cui i cibi ipercalorici, iper-palatabili e a basso costo dominano l’offerta alimentare. Pretendere che la soluzione sia solo “mangiare meno e muoversi di più” ignora la complessità del contesto in cui viviamo.
Colpevolizzare chi fatica a perdere peso come solo “mancanza di volontà” non è solo ingiusto, ma è anche inefficace.
Crediamo di scegliere liberamente, ma spesso siamo guidate senza accorgercene: in un mondo dove la persuasione lavora silenziosa, diventa facile confondere i nostri desideri con quelli che ci impongono.
Gli studi che mostrano tassi di successo duraturi nella perdita di peso — con oltre il 50% dei partecipanti che mantiene una perdita di peso clinicamente significativa anche dopo 5-8 anni — hanno una caratteristica in comune: si tratta di programmi multidisciplinari, che vanno ben oltre il semplice piano alimentare. Includono:
Esercizio fisico strutturato e progressivo
Supporto psicologico (es. terapia cognitivo-comportamentale)
Educazione alimentare personalizzata
Monitoraggio regolare con professionisti qualificati
Questo approccio è esattamente ciò che manca in molti programmi di dimagrimento diffusi oggi: quelli proposti nelle palestre, nei centri estetici, o promossi da "nutri-ciarlatani" — che siano influencer, presunti esperti, o addirittura medici e dietisti che fanno affermazioni sensazionalistiche.
Questi percorsi si focalizzano solo sulla perdita di peso, ignorando aspetti fondamentali come la salute ossea, la massa muscolare e il benessere mentale. Spesso sono accompagnati da slogan fuorvianti su superfood “miracolosi”, promesse di “reset ormonale” o timori infondati su cereali e carboidrati.
In menopausa, questo tipo di approccio può essere particolarmente rischioso. Una dieta troppo restrittiva o sbilanciata può:
Accelerare la sarcopenia (perdita di massa muscolare)
Aumentare il rischio di osteoporosi
Indebolire il metabolismo e compromettere la salute a lungo termine
Inoltre, valutare un programma solo in base ai chili persi può farci perdere di vista benefici molto più importanti: miglioramento dell’umore, della qualità del sonno, dell’energia e della forza fisica. Tutti elementi invisibili sulla bilancia, ma essenziali per una vita sana e soddisfacente.
Una buona dieta non si misura solo in calorie o in percentuali di macronutrienti (carboidrati, proteine, grassi), ma nella qualità complessiva degli alimenti e nella sua capacità di nutrire il corpo nel lungo termine.
In un mondo pieno di diete aggressive e restrittive, è quasi rivoluzionario concentrarsi su quello che possiamo aggiungere — alimenti nutrienti, sazianti e protettivi — invece di focalizzarsi su tutto ciò che va evitato. Questo approccio positivo non solo è più sostenibile, ma favorisce un miglior rapporto con il cibo.
La dieta più adatta alla menopausa è quella che supporta i principali ambiti di salute femminile dopo i 40 anni: cuore, cervello, metabolismo e densità ossea. Le tre diete che hanno mostrato i maggiori benefici in questo senso sono:
DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension): nata per combattere l’ipertensione, promuove frutta, verdura, cereali integrali, latticini magri e limita il sodio.
Dieta Mediterranea: basata su uno stile alimentare tradizionale dei paesi del Mar Mediterraneo, è associata a un ridotto rischio di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, sindrome metabolica e alcuni tumori.
MIND diet: una combinazione della DASH e della Mediterranea, con un focus su alimenti neuroprotettivi per la prevenzione dell’Alzheimer.
Tutte e tre condividono gli stessi principi fondamentali: prediligere cibi freschi, minimamente processati, ricchi di fibre, grassi “buoni”, vitamine e antiossidanti, e ridurre o eliminare zuccheri aggiunti, bevande zuccherate e cibi ultra-processati.
La dieta mediterranea non è una dieta dimagrante nel senso classico del termine, ma è universalmente riconosciuta come uno dei modelli alimentari più salutari al mondo. È stata associata a una lunga lista di benefici, tra cui:
Riduzione del rischio di malattie cardiovascolari e metaboliche
Miglioramento della sensibilità insulinica
Prevenzione di Alzheimer, tumori e sindrome metabolica
Sostegno alla salute del microbiota intestinale
Sebbene non esista una definizione rigida, è generalmente ricca di:
Pesce, legumi, verdure, frutta fresca
Cereali integrali, noci e semi
Olio extravergine di oliva come principale fonte di grassi
Basso consumo di carni rosse e alimenti industriali
Questa alimentazione è naturalmente ricca di fibre, grassi insaturi, polifenoli e micronutrienti essenziali per il benessere generale.
Ricorda: non stiamo cercando la dieta che ti faccia perdere peso più in fretta, ma uno stile alimentare che promuova la tua salute fisica e mentale, che si adatti alla tua vita e che possa accompagnarti nel tempo.
Scegliere una dieta che ti sostiene, ti nutre e ti rispetta è il regalo più grande che puoi fare al tuo corpo — oggi e negli anni a venire.