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Gli integratori alimentari sono definiti dalla normativa europea (Direttiva 2002/46/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169) come:
“Prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate.”
In parole semplici, si tratta di prodotti che contengono nutrienti o altri composti presenti anche in una dieta equilibrata — come vitamine, minerali, acidi grassi, aminoacidi o estratti vegetali — e che vengono assunti in forma concentrata per promuovere il benessere generale o rispondere a esigenze specifiche.
Oltre agli ingredienti attivi, gli integratori contengono anche eccipienti, ovvero sostanze aggiunte per facilitarne la conservazione, il gusto, o la somministrazione (come aromi o conservanti).
Il termine nutraceutico, coniato nel 1989 da De Felice, descrive proprio quei composti di origine nutrizionale che possono avere effetti positivi sulla salute simili a quelli di un farmaco.
L’effettiva necessità di assumere integratori è ancora oggetto di dibattito scientifico.
Ecco cosa sappiamo:
Una dieta varia ed equilibrata è la fonte migliore di nutrienti, e per la maggior parte delle persone non è necessario assumere integratori.
Il mercato degli integratori è spinto dal marketing: molte pubblicità fanno promesse esagerate, parlando di effetti “naturali, rapidi e senza controindicazioni” per sostenere l’immunità, accelerare il metabolismo, migliorare le performance fisiche e mentali — o, più recentemente, per alleviare i sintomi della menopausa.
Gli integratori non sono privi di rischi: possono interferire con farmaci, causare effetti indesiderati se assunti in eccesso, o contenere sostanze non controllate se acquistati da paesi dove la regolamentazione è meno rigorosa (ad esempio, negli Stati Uniti non esiste un controllo preventivo di qualità ed efficacia sui “supplements”).
Gli integratori alimentari sono ormai onnipresenti nella nostra vita quotidiana. Talmente diffusi che spesso ci dimentichiamo di porci la domanda più importante: sono davvero necessari?
A complicare la risposta contribuisce un flusso costante di informazioni fuorvianti: tra fake news, “nutri-influencer” senza competenze scientifiche e marketing aggressivo da parte dell’industria farmaceutica (che ha visto negli integratori un mercato multimiliardario), è facile sentirsi disorientate.
In questo contesto affollato, dove la mancanza di informazione chiara si traduce spesso in disinformazione, è fondamentale fermarsi e fare chiarezza. Come? Analizzando un caso d’uso alla volta, con spirito critico e fonti affidabili.
Uno dei pregiudizi più diffusi è che il cibo di oggi non sia più in grado di coprire il nostro fabbisogno quotidiano di nutrienti e che, per questo, sia necessario assumere integratori.
La realtà è un po’ diversa: una dieta varia e ricca di frutta e verdura resta la strategia più efficace per ottenere i micronutrienti di cui abbiamo bisogno. Non solo perché gli alimenti contengono vitamine e minerali in forme più facilmente assorbibili, ma anche perché offrono un mix sinergico di fibre, antiossidanti e altri composti bioattivi difficilmente replicabili in laboratorio.
Tuttavia, gli integratori sono utili e indicati in caso di carenze nutrizionali documentate, dovute a:
Stati patologici: malattie che compromettono la digestione, l’assorbimento o aumentano l’eliminazione dei nutrienti (es. celiachia, insufficienza pancreatica, diarrea cronica).
Malnutrizione o alimentazione insufficiente (es. in caso di disturbi alimentari, convalescenza, degenza ospedaliera prolungata).
Ridotta sintesi endogena di alcune sostanze, ad esempio in caso di epatopatie alcoliche.
Scelte alimentari per ragioni etiche: ad esempio, carenza di ferro nei vegetariani o di vitamina B12 nei vegani.
In questi casi, gli integratori non sono un “plus”, ma un supporto necessario per riportare l’organismo in equilibrio.
Molti integratori promettono di "rafforzare il sistema immunitario", ma questa affermazione è spesso vaga, fuorviante e scientificamente poco fondata.
Il sistema immunitario è una rete sofisticata e finemente regolata di cellule, molecole e organi che lavora incessantemente per proteggerci da virus, batteri, funghi e parassiti. Non si tratta di un interruttore che possiamo “accendere” o “potenziare” a piacimento. Aumentare genericamente l’attività immunitaria non è sempre un bene: un sistema immunitario iperattivo può infatti causare infiammazione cronica, allergie o malattie autoimmuni.
Eppure, il mercato degli integratori continua a proporre prodotti che promettono “più immunità”, senza specificare come e su cosa agiscono. Più cellule immunitarie? Più anticorpi? Aumentare un parametro isolato senza tener conto dell’equilibrio complessivo può essere inutile, se non addirittura dannoso.
Un esempio classico è la vitamina C, da decenni celebrata come prevenzione contro il raffreddore. Questa idea fu lanciata dal premio Nobel Linus Pauling, che ne consigliava dosi molto elevate. Ma la ricerca scientifica non conferma l’efficacia della vitamina C nel prevenire i raffreddori nella popolazione generale. Semmai, alcuni studi suggeriscono che dosi elevate (molto superiori alla dose giornaliera raccomandata) possono accorciare lievemente la durata dei sintomi, soprattutto in persone sottoposte a stress fisico intenso (come atleti o militari in addestramento).
In sintesi: nessun integratore può “potenziare” davvero il sistema immunitario in modo mirato e sicuro. La vera strategia per mantenere una buona risposta immunitaria è uno stile di vita sano: alimentazione varia e bilanciata, movimento regolare, sonno adeguato e gestione dello stress.
L’invecchiamento è un processo fisiologico, non legato a malattie specifiche, ma caratterizzato da un graduale calo della capacità delle cellule di ripararsi, replicarsi e rispondere agli stress. Due dei principali fattori biologici su cui si concentrano le ricerche sono lo stress ossidativo (causato dai radicali liberi) e l’infiammazione cronica di basso grado (o “inflammaging”), che insieme contribuiscono a un progressivo deterioramento delle funzioni cellulari.
Il cervello, in particolare, è uno degli organi più vulnerabili all’invecchiamento precoce. Questo perché consuma una quantità enorme di ossigeno (fino a un terzo di quello che respiriamo) ed è ricco di lipidi, facilmente ossidabili. Inoltre, i neuroni non vengono sostituiti una volta danneggiati o morti.
Fattori come alimentazione inadeguata, fumo, sedentarietà, inquinamento, stress cronico e infezioni possono aumentare la produzione di radicali liberi e accelerare il deterioramento cognitivo.
Negli ultimi anni, si è diffuso un crescente interesse per gli integratori alimentari “pro-cervello”, con l’obiettivo di rallentare questo processo. Tuttavia, le evidenze scientifiche sono molto più deboli di quanto la pubblicità lasci intendere.
Un analisi delle regione Veneto sui più comuni supplementi rivela il seguente:
Omega-3 (ω-3 PUFA): Non consigliati per la prevenzione o il trattamento del declino cognitivo nella popolazione generale. Gli studi clinici mostrano risultati contrastanti, anche nei pazienti con Alzheimer lieve.
Vitamine B6, B12 e acido folico: Potenzialmente utili solo in soggetti con livelli elevati di omocisteina (>13 μmol/L) e con declino cognitivo molto iniziale. Nessun beneficio dimostrato nella popolazione sana senza carenze.
Polifenoli (flavonoidi, curcuma, resveratrolo): Non efficaci come integratori. I benefici si osservano solo quando assunti naturalmente tramite una dieta ricca di frutta, verdura, tè, cacao e spezie.
Miscela di ingredienti (es: Fortasyn Connect): Effetti modesti osservati solo in soggetti con Alzheimer in fase prodromica (MCI). Nessuna efficacia nei casi di demenza già moderata.
Melatonina: Utile per migliorare il sonno nei pazienti con Alzheimer, ma non migliora memoria o capacità cognitive.
In sintesi: non esistono supplementi miracolosi per “mantenere giovane” il cervello. I benefici maggiori vengono da abitudini quotidiane e sostenibili, e da una dieta ricca in gruppi di nutrienti specifici (pesce, frutta, vegetali), che genericamente viene definita “dieta Mediterranea”.
Molti integratori destinati a migliorare la performance fisica contengono sostanze normalmente presenti negli alimenti, ma in forma concentrata o sintetizzata. Questo significa che, rispetto alla dieta, l’esposizione a dosi elevate è molto più marcata, e gli effetti a lungo termine non sono sempre ben noti.
Uno degli integratori più studiati ed efficaci in ambito sportivo è la creatina. Si tratta di una sostanza naturalmente prodotta dall’organismo (soprattutto da fegato, reni e pancreas), e presente in piccole quantità in alimenti come carne e pesce. Nei muscoli, la creatina viene immagazzinata come fonte rapida di energia, utile in particolare durante sforzi brevi e intensi.
I benefici della creatina si osservano esclusivamente in presenza di un programma di allenamento contro resistenza, come il sollevamento pesi. In questo contesto, l’integrazione può contribuire a un modesto aumento della massa muscolare e della forza.
Una metanalisi ha mostrato che la creatina, combinata con allenamento strutturato, promuove una lieve ipertrofia muscolare sia negli arti superiori che inferiori. I benefici sono leggermente più marcati nei soggetti giovani, ma l’effetto complessivo è piccolo e non rilevante per tutti.
Negli ultimi anni, la creatina è tornata sotto i riflettori anche grazie a campagne di marketing mirate alle donne — spesso con packaging rosa, promesse di ossa più forti e muscoli tonici. Tuttavia, non esiste una “creatina femminile”: la creatina monoidrato pura è la forma più studiata e universalmente efficace, per uomini e donne di ogni età.
Per quanto riguarda la salute ossea, non ci sono prove scientifiche che la creatina, da sola, abbia un impatto diretto sulla densità minerale ossea, soprattutto in assenza di allenamento con carichi. La prevenzione dell’osteoporosi si basa su:
esercizio fisico regolare (soprattutto con carico)
alimentazione ricca di calcio, vitamina D e proteine
interventi terapeutici mirati, se necessari
Alcune ricerche recenti suggeriscono che la creatina potrebbe avere effetti promettenti anche a livello cerebrale. Ad esempio nel migliorare la risposta allo stress, la qualità del sonno o i sintomi depressivi. Tuttavia, questi risultati sono ancora preliminari, e si riferiscono a contesti clinici specifici, dosaggi elevati e soggetti in condizioni di stress o deprivazione. Non esistono al momento linee guida ufficiali che ne raccomandano l’uso per la salute mentale in menopausa.
Gli integratori alimentari cosiddetti “brucia grassi” rientrano nella categoria dei prodotti coadiuvanti delle diete ipocaloriche. Come suggerisce il termine stesso, il loro effetto è secondario e subordinato a una dieta a ridotto apporto calorico. Senza un deficit energetico — ovvero una dieta ipocalorica ben strutturata — nessun integratore può produrre una perdita di peso significativa o duratura.
La maggior parte di questi prodotti ha effetti molto modesti sul metabolismo lipidico (cioè sull'utilizzo dei grassi immagazzinati) e non agisce direttamente sui grassi appena introdotti con la dieta. Alcuni hanno azione diuretica o lassativa, e la perdita di peso visibile è temporanea e dovuta alla perdita di liquidi, non di grasso corporeo.
Uno dei casi emblematici di questo trend è quello dell’estratto di caffè verde, diventato celebre dopo essere stato definito un “miracoloso brucia-grassi” nel popolare programma del Dr. Oz. La promessa era semplice e accattivante: dimagrire velocemente, senza sforzi.
Tuttavia, gli studi iniziali che supportavano questa tesi si sono rivelati di scarsa qualità metodologica e con forti conflitti di interesse economico. La Federal Trade Commission (FTC) degli Stati Uniti ha denunciato le aziende coinvolte per pubblicità ingannevole, ordinando il rimborso ai consumatori.
Ad oggi, non esistono evidenze scientifiche solide che dimostrino l’efficacia del caffè verde nel favorire la perdita di peso. I risultati positivi osservati provengono da ricerche di dubbia attendibilità e non sono stati confermati da studi indipendenti di buona qualità.
Oltre al caffè verde, molti altri integratori “brucia grassi” sono stati oggetto di hype e delusione. I chetoni di lampone, ad esempio, sono stati pubblicizzati come acceleratori del metabolismo, ma gli studi che ne supportano l’efficacia sono quasi esclusivamente su animali o in vitro, senza conferme attendibili sull’uomo. Anche la L-carnitina, spesso promossa per “trasportare i grassi nei mitocondri e bruciarli”, non ha mostrato risultati significativi sulla perdita di peso nella maggior parte degli studi clinici.
Infine, l’acido linoleico coniugato (CLA) ha avuto un momento di celebrità, ma gli effetti positivi riscontrati sono stati minimi e spesso accompagnati da effetti collaterali gastrointestinali. Meta-analisi e revisioni sistematiche (es. Whigham et al., 2007; Onakpoya et al., 2012) concordano: il gioco non vale la candela. Il CLA è uno di quegli integratori che “funzionano solo sul barattolo”. Il CLA (3,2 g/die) riduce la massa grassa di ~0,09 kg/settimana, fino a ~1 kg in 6 mesi: effetto minimo e clinicamente poco rilevante (Whigham et al., 2007). Meglio puntare su attività fisica costante e nutrizione bilanciata: più efficace, sicura ed economica.
In sintesi, molti dei cosiddetti “fat burner” si rivelano inefficaci, se non addirittura potenzialmente dannosi, e si basano più su strategie di marketing che su basi scientifiche solide.
Negli ultimi anni hai notato un’esplosione di prodotti pensati per la menopausa? Integratori miracolosi, tisane “ormonali”, probiotici per “riequilibrare gli estrogeni”… sembra che ogni azienda voglia una fetta del mercato. E non è un caso.
Benvenuta nella “Menopause Gold Rush”: una vera e propria corsa all’oro che oggi vale oltre 16 miliardi di dollari e si stima arriverà a 24 miliardi entro il 2030.
Perché? Ecco qualche dato:
Ogni giorno, circa 6.000 donne entrano in menopausa solo negli Stati Uniti: sono più di 2 milioni ogni anno.
Secondo l’ONU, nel 2020 c’erano 985 milioni di donne over 50 nel mondo. Entro il 2050 saremo 1,65 miliardi.
Ma non è solo una questione di numeri. È anche il segno di un cambiamento culturale: donne più informate, più consapevoli, più attive nella ricerca di soluzioni per il proprio benessere.
Ed è proprio lì che si inserisce il marketing. Tra pillole, creme e promesse naturali, il rischio è quello di cadere vittime di strategie chiamate “menowashing”: sfruttare i sintomi della menopausa per vendere prodotti senza evidenza scientifica.
Jen Gunter è una ginecologa canadese-americana, autrice e opinionista del New York Times, ed è oggi una delle voci più forti contro la disinformazione che circola sui social, soprattutto quando si parla di salute delle donne. Nel suo libro The Menopause Manifesto, analizza in modo critico i supplementi più promossi in menopausa, distinguendo tra ciò che è supportato dalla scienza e ciò che è solo marketing:
Omega-3: possono ridurre l’infiammazione sistemica post-menopausa, ma hanno senso solo se segui una dieta vegana o non mangi pesce (fonte naturale di EPA e DHA).
Vitamina B12: utile solo se hai una dieta vegetariana/vegana, disturbi gastrointestinali, o assumi farmaci che ne inibiscono l’assorbimento (come la metformina).
Vitamina E, multivitaminici, combinazioni di vitamina A, B6 e B12: non raccomandati. Alcuni studi hanno associato queste supplementazioni a un aumento del rischio di fratture o mortalità.
DHEA, progesterone in crema, pregnenolone, yam cream: inefficaci o potenzialmente pericolosi.
Estratto di tè verde: in alcuni casi associato a danni epatici.
Probiotici per la menopausa: non supportati dalla scienza per migliorare la salute vaginale o intestinale, se non in casi molto specifici.
Fortunatamente, chi vive in Unione Europea gode di un sistema regolatorio piuttosto rigido per quanto riguarda gli integratori alimentari. I prodotti devono riportare in etichetta quantità e ingredienti reali, e sono soggetti a controlli più severi rispetto ad altri paesi.
Negli Stati Uniti, ad esempio, la legge DHEA del 1994 ha ridotto significativamente la supervisione: i produttori non sono obbligati a dimostrare né la sicurezza né l’efficacia dei loro prodotti prima della commercializzazione. Studi indipendenti hanno rivelato che fino all’80% degli integratori testati non conteneva ciò che dichiarava in etichetta, e in alcuni casi erano presenti addirittura principi attivi farmacologici non dichiarati.
Se hai dubbi su un prodotto, puoi verificare se è registrato nel registro ufficiale degli integratori del Ministero della Salute.
In Europa, infatti, una sostanza può essere usata in un integratore solo se ha una documentata storia di consumo sicuro, altrimenti viene classificata come “novel food” e deve essere sottoposta a una procedura di autorizzazione.
Tuttavia, anche all’interno del sistema europeo, assumere integratori non è privo di rischi. Vediamo perché:
Gli integratori vengono spesso promossi come naturali, in contrapposizione a terapie considerate “sintetiche” come la terapia ormonale sostitutiva (TOS). Ma “naturale” non è sinonimo di innocuo.
Le vitamine e i minerali vengono assorbiti molto meglio attraverso il cibo, dove sono accompagnati da fibre e altre sostanze che ne facilitano l’utilizzo.
Anche molte piante medicinali, pur essendo di origine naturale, possono essere più potenti — e potenzialmente più pericolose — dei farmaci. Un esempio classico è l’ergot, una tossina prodotta da un fungo su segale contaminata, che può causare aborto, convulsioni e perfino la morte. Non a caso l’UE ne limita severamente la presenza nei prodotti alimentari.
Molti studi sugli integratori sono finanziati dalle stesse aziende che li producono, con evidenti conflitti di interesse. Le metodologie impiegate sono spesso deboli, i campioni piccoli, e i risultati non replicabili.
Un esempio? La Menopause Society ha recentemente analizzato tutti i dati disponibili sulle terapie non ormonali per le vampate di calore: nessun integratore ha ricevuto una raccomandazione positiva, proprio per la scarsa qualità delle evidenze.
Essendo prodotti da banco, gli integratori vengono spesso assunti senza il parere di un medico, come se non potessero avere effetti negativi.
Ma uso cronico e dosi eccessive possono causare tossicità, interferenze con farmaci e reazioni avverse anche gravi.
Tra gli esempi più noti:
L’estratto di tè verde è stato associato a casi di insufficienza epatica.
La curcuma, spesso presentata come antinfiammatorio naturale, può danneggiare il fegato e non ha dimostrato benefici chiari in menopausa.
Il black cohosh (cimicifuga racemosa o cimicifuga), usato per le vampate, non ha efficacia dimostrata e può causare danni epatici. In uno studio, il 25% dei prodotti etichettati come black cohosh non conteneva affatto la pianta dichiarata.
I dati sono preoccupanti: negli Stati Uniti, tra il 1995 e il 2003, gli integratori erano responsabili del 2,5% dei casi di insufficienza epatica non legati al paracetamolo. Tra il 2013 e il 2020, questa percentuale è salita al 24,1%.
In sintesi: gli integratori non sono neutri. Possono essere utili in casi specifici, ma vanno scelti con criterio, monitorati da un professionista, e non assunti “per sicurezza” o “perché tanto sono naturali”.
Non tutto quello che gli influencer ti propongono con un codice sconto ti serve davvero: a volte serve più al loro portafoglio che alla tua salute.
Se c’è una cosa che emerge chiaramente dalle evidenze scientifiche, è questa: non esistono soluzioni miracolose. Molti integratori promettono molto, ma offrono poco. E a volte possono persino causare danni.
Allora cosa funziona davvero?
Secondo The Menopause Society, le strategie più efficaci e supportate da evidenze cliniche per gestire i sintomi della menopausa sono:
Terapia ormonale sostitutiva (TOS): È una forma di trattamento efficace per sintomi come vampate, sudorazioni notturne, secchezza vaginale e disturbi del sonno, nei casi in cui non ci siano controindicazioni mediche. Va sempre valutata con il proprio ginecologo.
Modifiche dello stile di vita: Alimentazione equilibrata, esercizio fisico regolare (incluso, sopratutto, allenamento con pesi), gestione dello stress e un buon sonno possono avere un impatto concreto sulla qualità della vita.
Supporto psicologico e relazionale: La menopausa non è solo un cambiamento ormonale, ma anche una fase complessa dal punto di vista emotivo. Il sostegno di professionisti (medici, psicologi, ostetriche, coach certificati) può fare la differenza.
In conclusione, il benessere in menopausa non si trova in un flacone, ma in un approccio personalizzato, basato su evidenze cliniche, ascolto del proprio corpo e dialogo con professionisti competenti. Diffida di chi ti vende soluzioni facili a problemi complessi. Meriti informazioni corrette, strumenti efficaci e rispetto per questa fase della vita.